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La separazione dei genitori può rappresentare un trauma evolutivo per il bambino?

Il trauma del non riconoscimento di cui parla Bromberg (2012, p. 98), che nasce dall’esperienza del bambino di essere privo di valore per qualcuno di cui ha bisogno, può avvicinarsi all’esperienza del bambino che vive con un genitore talmente coinvolto nel conflitto con l’altro genitore dal ritirare ogni investimento sul figlio, dal distogliere il suo sguardo da lui e, in questo modo, farlo sentire “privo di valore”?

Quando Bromberg (2012, p. 43) afferma: “Il salutare desiderio del bambino di comunicare la sua esperienza soggettiva a un altro di cui ha bisogno, viene infuso di vergogna, perché l’altro di cui ha bisogno non riconosce, o non riconoscerà, l’esperienza del bambino come qualcosa di legittimamente “pensabile”, mi vengono in mente quei genitori che vivono come un attacco al proprio “Sé genitoriale” le manifestazioni di mancanza dell’altro genitore da parte del figlio.

“Mi manca papà” o “Mi manca la mamma” vengono tradotte dal genitore in “Tu non mi manchi” o, peggio, con “Allora tu non riconosci tutto quello che ho fatto, faccio per te” (bambino ingrato) o, ancora, “Allora, non sono un bravo genitore” (genitore incapace), a seconda di dove venga diretto il moto di rabbia che il genitore sente crescere dentro di sé. Nel caso venga diretto verso il proprio “Sé genitoriale”, il bisogno espresso dal bambino diventa per il genitore una conferma dell’inadeguatezza temuta e accentuata dal confronto con l’altro, vissuto come avversario nella guerra per la conquista dell’amore del figlio.

Nella mia esperienza clinica di interventi a supporto della “genitorialità divisa”, intercetto talvolta il dolore profondo del genitore di fronte al pianto del figlio che “si separa” dall’altro genitore nel momento del passaggio da un genitore all’altro. Il genitore che si prepara ad accogliere il bambino può, come dicevo, sentirsi respinto e reagire con rabbia. Il pianto del bambino, che può, nella prospettiva di Bromberg, essere considerato espressione del “salutare desiderio del bambino di comunicare la sua esperienza soggettiva”, in questo caso il suo dispiacere per il doversi separare dal genitore, non viene accolto, non viene legittimato dal genitore da cui fa ritorno.

Per preservare il legame di attaccamento con il genitore di cui ha bisogno, che sente messo a repentaglio da ciò che prova, il bambino può arrivare a negare a se stesso la possibilità di esprimere quella parte di esperienza soggettiva. Per tornare alle parole di Bromberg:

“Ora sente non che ha fatto qualcosa di sbagliato, ma che vi è qualcosa di sbagliato in se stesso, vale a dire, qualcosa di sbagliato in lui come persona. Per sopravvivere a questa destabilizzazione del senso del Sé, sequestra la parte della sua esperienza soggettiva che diventa così “illegittima”…”.