separazione figli

Il legame genitore-figlio può resistere all’evento separazione, l’affetto del genitore per i figli non cambia come sono cambiati i sentimenti tra i genitori, tuttavia anche per il figlio e per il rapporto genitore-figlio la separazione richiede di dover affrontare una perdita e da questa prospettiva è psicologicamente assimilabile ad un lutto, ad un evento traumatico.

“Quando un figlio vive la separazione dei genitori vive sempre una separazione forzata, nel senso che di certo non l’ha determinata lui, né, con ogni probabilità, avrebbe mai voluto che le cose finissero in quel modo nella sua famiglia (…) è necessario mettere in conto che il loro vissuto della separazione dei genitori sarà anche quello di una separazione dai genitori, nel senso che sarà per loro necessario separarsi dalle figure genitoriali intese come coppia genitoriale” (G. Cavicchioli, S. Rosa “Emozioni e relazioni nella separazione genitoriale”, 2017)

Dal punto di vista del figlio, la separazione dei genitori è inevitabilmente per lui separazione (perdita) dai (dei) genitori uniti, dalla famiglia. Nella pratica clinica che va in aiuto alla famiglia in crisi si osservano “…i bambini instancabili nel ricercare un modo per rimettere in contatto affettivo i genitori, anche quando sono proprio loro ad essere più dolorosamente in difficoltà”. (D. Vallino, “Per una cultura del legame mentale tra genitori e figli”).

A parte alcune eccezioni, genitori e figli non condivideranno più tempi e spazi, che vengono divisi tra i genitori. Festività, ricorrenze familiari, vacanze, vengono divise, spesso anche il compleanno del figlio non può più essere vissuto insieme e viene festeggiato “ad anni alterni” con l’uno e l’altro genitore o si assiste alla “duplicazione” dei festeggiamenti, delle torte di compleanno, nel maldestro tentativo di riparare alla perdita di ciò che non può più essere: la famiglia unita.

Dal punto di vista del genitore, la separazione dal coniuge comporta anche una separazione dai figli, richiede la capacità di tollerare la perdita della quotidianità, la presenza costante, che per alcuni genitori si declina nella perdita del pieno controllo. Entra in campo la fiducia nel legame che il genitore sente di aver instaurato col figlio e la fiducia nel legame tra l’altro genitore ed il figlio. Nella distanza di tempo e spazio (assenza) il legame mentale che si è stabilito tra genitore e figlio diventa fondamentale nel saper gestire da parte del genitore l’assenza del figlio.
In psicoanalisi, il legame tra genitori e figli si fonda sull’interiorizzazione delle figure genitoriali, attraverso il meccanismo dell’identificazione.

Quando il bambino ha interiorizzato le figure genitoriali e le caratteristiche positivi a loro associate prevalgono su quelle negative, può essere in grado di allontanarsi da loro senza venire sopraffatto dall’angoscia dell’abbandonato e della solitudine, perché è come se le portasse dentro di sé e può essere abbastanza fiducioso nella forza del legame da sapere che la madre o il padre torneranno a prenderlo.

Anche l’essere genitori, secondo il modello della famiglia di D. Meltzer e M. Harris “è una funzione della vita mentale che ha le sue radici nell’interiorizzazione (inconscia) e nella memoria (conscia) delle cure che i genitori hanno ricevuto, a loro volta, dai propri genitori (…) non è soltanto il figlio che un padre e una madre curano, ma anche il proprio sé infantile che ha sofferto nella famiglia originaria e che chiede imperativamente riparazione”. (ibidem)

Se il mondo interno del genitore invade tutto lo spazio esterno, il bambino reale può scomparire ai suoi occhi e, in seguito, anche allo sguardo dell’altro perché non si sarà dato spazio alla sua individualità per potersi sviluppare ed esprimere. Quando, invece il genitore è consapevole delle proprie identificazioni proiettive e sa dominarle, riesce a conoscere ed accogliere il bambino diverso da sé, il “bambino reale”.
Ritornando alla separazione, dietro o al di sotto dell’attacco all’altro si nasconde la difficoltà ad accettare la “rinuncia”, necessaria e inevitabile, ad una parte del figlio; il dolore connesso alla perdita cerca disperatamente di essere evitato eliminando l’altro genitore.

Al di sotto delle separazioni estremamente conflittuali, quelle nelle quali l’altro viene demonizzato, vi si trova anche spesso una scarsissima fiducia o considerazione del proprio valore; il genitore che teme di non avere valore non può salvarsi in altro modo se non distruggendo l’altro, dimostrando la sua indegnità come genitore. Nell’esperienza della CTU, questi genitori si mostrano sconcertati quando li si porta su una dimensione relazionale e si fa vedere loro la parte che essi giocano nel conflitto e nella mancanza di comunicazione. Nella mente di questi genitori, l’unico scopo concepibile della CTU è la certificazione dell’inadeguatezza dell’altro genitore. Quando ciò non accade ed anzi li si può rassicurare, nei casi più gravi, oppongono una grande resistenza e continuano a dubitare dell’altro, pensando di non essere riusciti a spiegarsi bene o di non essere stati creduti o, ancora, che il tecnico sia un incapace.

In altri casi, più benigni, emerge l’aspetto depressivo della mancata elaborazione del lutto che può riguardare la dimensione della coppia coniugale, la perdita del “per sempre”, come acutamente osserva V. Cigoli nel suo “Il legame disperate”, o nella dimensione genitoriale, il “sempre con il figlio”.

Nelle situazioni in cui all’inizio della CTU gli incontri con uno dei due genitori erano sospesi, ridotti ai minimi termini o, come si riscontra sempre più di frequente, “concessi” con modalità controllanti, ovvero solo alla presenza del genitore o di altri familiari, nel momento in cui vengono ripresi il vissuto dell’altro si esprime nella frase emblematica “ma come, allora io non valgo niente?”.

Oggi la separazione dei coniugi è un evento comune, frequente, ma “…il vero problema è che non sanno come farlo…”, come sostiene A. R. Becce nel suo libro “Scene della vita forense”.

La coppia non sa separarsi spesso perché non si è costituita come tale, “Prima di conoscersi come persone, di attraversare un tempo assieme, di convivere per capire la possibilità o meno di andare d’accordo, fanno un figlio (…) raggiunto l’obiettivo personale di avere il figlio ognuno vuole tornare alla propria vita autonoma e indipendente, tenendosi per sé il bambino che gli spetta, esautorando l’altro dalla crescita del figlio.”
Ricordo la frase di una madre separata che si lamentava con il padre dei suoi figli: “Perché non puoi essere come tutti gli altri papà che si accontentano di vedere i figli un weekend sì e uno no?!?”.

Alla base di tanti casi di accesa conflittualità tra i coniugi vi sarebbe il meccanismo del mancato riconoscimento dell’altro genitoriale, promosso dallo spirito della nostra epoca che “promuove lo sviluppo smisurato di un Io indipendente, slegato dall’Altro, consumatore ad oltranza e senza freno, nel diritto del possesso di ogni cosa”.

Non c’è la coppia, ma l’accoppiamento ed il figlio è un oggetto per essere felici. L’altro genitore, dopo la separazione, diventa un impedimento alla realizzazione della felicità. Manca la dimensione dell’importanza di entrambi i genitori per lo sviluppo sano e armonico del figlio: c’è il bisogno del genitore, ma non è riconosciuto il bisogno del figlio a crescere con entrambe i genitori.