Quando una famiglia si separa entra in uno stato di crisi che pervade ogni ambito della vita. La conflittualità sembrerebbe essere, nella maggior parte dei casi, direttamente proporzionale alla simbiosi della coppia: maggiore è l’incastro tra le reciproche fragilità, maggiore sarà la sofferenza della separazione.
La crisi di un individuo che assiste al crollo dei suoi ideali, spesso giovanili, presenta sia degli aspetti di tipo depressivo, di mortificazione e tristezza simile al vissuto di chi affronta un lutto, che aspetti di tipo rabbioso legati alla frustrazione e all’impotenza.
C’è sempre una parte nella coppia che ha un vissuto di maggiore lesione, di conseguenza maggiore rabbia e tristezza, e rivendicatività rispetto all’altra.

Ma come si collocano i figli all’interno di questo scenario? I bambini, nella mia esperienza sia come psicologo psicoterapeuta sia come esperto in età evolutiva, sono coinvolti nello tsunami emotivo dei genitori che, pur affermando che “non lo danno a vedere e che li tengono fuori dai conflitti fingendo che tutto vada bene​”, puntano su di loro per un riscatto narcisistico che riguarda l’essere madre o padre, a fronte del vissuto di pervasivo fallimento individuale.
La valutazione delle competenze genitoriali, in ambito giuridico implica una valutazione della relazione tra i genitori ed il figlio/a.
Come si sentono i bambini che vengono intervistati? Sanno di essere oggetto della nostra osservazione perché hanno assistito all’alta conflittualità tra gli adulti, e di certo hanno catturato parole, sguardi e gesti dei genitori prima durante e dopo la separazione.
Spesso vengono accompagnati al primo appuntamento infarciti da spiegazioni che vanno dalle più puntuali, sugli obiettivi dell’incontro col CTU, fino a quelle ove il CTU è amico/a della mamma o del papà. Da subito il bambino si immagina oggetto di studio del clinico, che vuole sapere come sta con l’uno e con l’altro genitore, e si aspetta quelle domande che mamma e papà molto spesso gli fanno al rientro da casa del genitore di “turno”: “​come sei stato col papà o con la mamma?- Cosa avete fatto?- ”, ​o più direttamente​: “ hai fatto questo ? hai fatto quello?
L’incontro con il bambino in CTU non è mai semplice: sono compresenti, nella mente del consulente individuato dal giudice, tanti aspetti che riguardano i bisogni del bambino, dai più concreti a quelli più emotivi.

Per questo ritengo che la valutazione del bambino debba essere delegata ad uno psicologo esperto in età evolutiva, nominato come ausiliario del CTU, che approccia l’osservazione con la famiglia offrendo la disponibilità di una mente libera che può osservare il figlio nella sua interezza, senza rincorrere ipotesi che, “umanamente” nel corso della conoscenza dell’altro, tentiamo di verificare nel tentativo di chiarire la cornice in cui stiamo cercando di inserire tutti gli elementi correlati da restituire al giudice per rispondere al quesito.
Solo in questo modo si trasmette un valore al bambino, poiché non ci si aspetta alcuna rivelazione che si inserisce a quanto preliminarmente descritto dai genitori e perché si lavora “al buio”, e ci si concentra solo ed esclusivamente sull’incontro col bambino.

Il primo scritto in proposito è di Dina Vallino 1984 (Conferenza di Milano: Emozioni e sofferenza dei bambini durante il primo incontro, in ​Fare psicoanalisi con genitori e bambini​, nuova edizione, Mimesis, Milano 2019): “​Lasciare da parte teorie, modelli e compiti predispone alla possibilità di realizzare un contatto col bambino che permette di rendere visibile la sua esperienza emotiva” . Si può dire che mettere da parte l’inquadramento del problema della coppia che è arrivata in CTU, permette di realizzare una ricerca microscopica della realtà del momento.
Il rischio che spesso si corre, è quello di “perdere” il bambino lasciandolo solo nella sua piccolezza, nelle sue decisioni e rischiando che venga travolto da corsi di idee troppo irruenti ed emozioni travolgenti.

Nella mia esperienza, molto spesso i genitori orientano i bambini al colloquio con il clinico, chiedendo chi più chi meno chiaramente, di raccontare qualcosa che ha a che fare con l’esperienza di relazione col genitore “ avversario”, come se questo fosse l’unico obiettivo della conoscenza del bambino durante la perizia giuridica in ambito civile.In realtà, nella stanza con lo psicologo, raramente il piccolo si allea con l’uno o con l’altro genitore, ma anzi, chiarisce attraverso il gioco che ama i genitori profondamente anche se in modi differenti, pur avvertendo il bisogno dell’uno e dell’altro a essere considerato genitore particolare da lui. Ciò si osserva dai disegni, dal gioco di costruzione condiviso e dal gioco della casetta, dove tutti i personaggi affettivi sono presenti e collocati in spazi differenti, quasi mai esclusi.

Obiettivo della valutazione del bambino in CTU è quello di renderlo protagonista della consultazione anche con l’aiuto dei suoi genitori, sottraendolo dalla sensazione di essere indagato e messo sotto la lente di ingrandimento dello specialista.
Per questo motivo preferisco incontrarlo in presenza dei genitori, o prima nella relazione con l’uno e poi con l’altro superando la convinzione errata che il bambino da solo può dire qualcosa che inibisce alla presenza dell’adulto.
L’interessamento al bambino è la curiosità sulla sua storia, come persona che vive nel gioco e nei sogni, oltre che con i suoi genitori nella realtà. Solo in questo modo la CTU potrà essere una buona esperienza, che restituisce il valore al bambino nella sua unicità.